Salone del gusto e Terra madre 2014

Quanto è necessità e quanto è piacere, il cibo?
Forse la risposta nasce dai fatti; dalle ore passate in cucina la Vigilia di Natale, dalla scena di un film girata davanti ad un frigorifero aperto.
Chè piaccia o no il cibo unisce.
E’ il perno a cui legare un filo teso ed una matita, per disegnare un cerchio al cui interno l’intimità che sa di casa.
E' passione.

Chi ama viaggiare sa che la nuova cultura va cercata anche nel piatto; la tradizione culinaria è una certezza, non sarà mai uguale a quella precedente, varierà in quella futura. 
Diventa l’emblema di una nazione, tra combattimenti per la supremazia del prodotto e tentativi di imitazioni.
In un certo senso il cibo rende la vita piacevole: davanti ad un piatto di pasta si ragiona meglio.

Non potremmo essere più fortunati in questo. 
L'Italia patria maestra dei ravioli al plin e del babà, dei taralli e dei cantucci; che anche se ti traferisci all'estero te la porti dietro, con lo strascico di tradizione con cui ti ha cresciuto.
Una cosa esaltante è poter girare l'Italia in pochi metri; e io l'ho fatto.

Partita dal Piemonte dove grazie all'Associazione del Ciapinabò di Carignano ho scoperto che i capinabò (i tapinambour in italiano) si possono friggere, e ne esce fuori una roba paradisiaca; ho continuato da I tesori dell'orto con la Tuma quadra che, nonostante la poca frequentazione, non mi fa dimenticare l'amore per i latticini. E dopo un'immersione (ed un piccolissimo acquisto) nel profumo di Tartuflanghe, la voglia di dolce mi ha fatto finire in Sicilia.
 
E quindi un cannolo con ricotta di latte di bufala e granella di pistacchio ed il piacere di un dolce cremoso è stato soddisfazione; e poi taralli pugliesi, speck trentino, olio ligure, dolci sardi.
 
 

Tutto questo è vivere il Salone del Gusto; per me la fiera è uno strano modo di viaggiare, scivolando in mezzo agli stand, accompagnati dal profumo dei prodotti. I dialetti cambiano con le cadenze, per trasformarsi in lingue, materie prime dai profumi speziati, abiti troppo colorati, troppo differenti per essere nostri. E' a quel punto che capisci di essere passato a Terra Madre, lasciandoti alle spalle il Bel Paese per incontrare i presidi slow food mondiali.

 
 

Al centro (letteralmente) un'arca custodiva le biodiversità di tutti i continenti. L'esoticità dei frutti dell'Oceania si distanziava dal calore delle spezie, ed il fascino imperfetto delle zucche attirava a se ogni cellulare presente.

Dopo la scorsa edizione non posso che riconfermare il mio amore per questa fiera; a portata di curioso alla ricerca di degustazioni (magari gratis), per l'appassionato di cucina pronto all'autografo di qualche chef famoso (vedi Davide Scabin qui sotto), fino al viaggiatore che può assaporare con gli occhi ed il palato terre lontanissime.
 

Il bello è avere il mondo da percorrere in breve (abbiamo girato per circa otto ore, senza vedere tutto per bene), potendo dire "Vado un attimo in Basilicata" se non azzardando con il Kenya o la Malesia.
Ma il Salone del Gusto e Terra Madre non sono solo semplice enogastronomia.
Sono qualità.
Ti danno la possibilità di scoprire e riscoprire non solo i cibi, ma tutto ciò che vi è dietro: impegno e fatica; la voglia di sporcarsi le mani per donare un futuro più pulito ai propri figli. 
Sono il risultato del coraggio di uomini che non avevano niente, dell'intraprendenza di chi ha scelto un movimento che valorizzi ciò di cui ci nutriamo.

Sono passione.
E non è la passione a migliorare il mondo?

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